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L’Arte di Demetrio Bianco

E’ una ideografia scolpita l’opera di Demetrio Bianco, un linguaggio fatto di simboli solidificati, concetti, ricordi, preghiere. Ideali resi tangibili, concreti, tridimensionali. Con un’arte che sembra una sorta di Romanico attualizzato, infatti, lo scultore pistoiese, come facevano i maestri delle pievi medioevali, elabora immagini semplici e potenti che hanno la forza di esprimere simbolicamente interi universi di significati, interi mondi di memorie, sentimenti e valori. L’arte nasce da un bisogno di esprimere o comunicare qualcosa che sta dentro di noi, ma che può trovarsi nell’animo di tutti, che può trovare ascolto presso tutti perchè questo “qualcosa” nasce da un’esperienza che tocca le corde più profonde della nostra interiorità, tanto profonde da poter essere comprese da ogni persona. L’esperienza di vita che ha segnato l’apertura dell’anima di Demetrio Bianco alla vasta realtà del mondo è stata una condizione oggi ricordata più con fastidio che con comprensione, più con imbarazzo che con rispetto: l’emigrazione. Memoria fisica di quando noi italiani eravamo gli “immigrati”, Bianco, come un libro vivente, ci racconta il significato più forte e vero di quella condizione comune a tanti nostri padri: il passare non solo da una terra ad un’altra, ma anche da una cultura ad un’altra, da una storia ad un’altra, fuggendo dalla fame per trovare, spesso, disprezzo ed emarginazione. Condannato pur essendo vittima di colpe altrui, l’emigrante di Demetrio Bianco, come fu lui ,che a 16 anni, dal nostro Sud, andò in Germania, ha la valigia in spalla, con tutto il suo peso di dolore, sogni e speranze, e gli occhi bendati perchè non può sapere a cosa andrà incontro. La prole, la famiglia sono la vita stessa dell’individuo, non sono un peso, sono una responsabilità che viene dall’amore, come quei figli attaccati, addossati tutti alla possente, tenera madre che va in campagna. Bianco, infatti, appartiene ancora a quella razza di uomini veri che non vedono negli affetti, nei legami un ostacolo, ma una forza, una spinta infinita per andare avanti, per costruire una vita migliore. I veri adulti, per questa razza oggi quasi perduta, possono sfuggire alla morte e alla miseria, ma non alla vita, nè alla responsabilità verso chi li ama e tanto meno all’amore stesso: non spariscono vilmente, ma cercano di creare un futuro. Lo stesso amore, per gli uomini come Bianco, è nudo, perchè il sentimento profondo fra uomo e donna, quando è vero, è tutto santo, non deve essere coperto perchè non ha nulla di cui vergognarsi: porta alla vita, e la vita è sacra, perciò l’unione fisica fra uomo e donna è l’altare di pietra su cui si riproduce il santo miracolo della procreazione, la continuazione dell’opera di Dio. Per questo, il sentimento stabile non è una gabbia, è la vera libertà e la vita. Ma da emigrante,Bianco ci insegna anche quello che ha imparato sui mali del mondo: le ingiustizie fatte dall’uomo sono molto più distruttive di malattie e disastri naturali, e non sono inevitabili. Dietro la scodella vuota di una madre disperata c’è la vergogna dell’oppressione e dello sfruttamento, del disprezzo e della superbia, questa è la causa della fame del mondo. Di fronte a tutto questo l’animo ematico, altruista, sensibile di Demetrio Bianco sente l’impulso di dover cambiare le cose, ed in questo trova una appoggio molto più alto della sua pur robusta volontà di artista impegnato, una forza che si basa sull’origine stessa della realtà, la forza della fede in Dio. Come l’acqua viva che sgorga dalle sue acquasantiere e dalle sue fontane, la fede, la Parola di Dio, l’amore del Cristo Crocifisso e della Sua Vergine Madre, l’esempio di vita dei santi, non sono un rifugio, ma sono l’impulso a lottare contro i mali del mondo, ad impegnarsi contro l’ingiustizia, a nobilitare l’arte stessa facendola mezzo con cui risvegliare la parte migliore dell’animo umano. Prega di continuo, Demetrio Bianco, prega per avere sempre più la forza di cambiare il mondo, di cambiarlo in meglio, con la sua fede incrollabile come la pietra e il marmo in cui si imprimono le sue idee e si incastonano i suoi sentimenti, prega nella antica lingua dei simboli, come facevano i maestri delle pievi, prega che della sua arte rimanga sempre quell’ideale, quel senso che ha cercato in questo e nell’altro mondo, il senso che tenta di far capire a tutti e che anima sia la giustizia, sia la fede, quel senso che noi chiamiamo amore.

Alfonso Confalone

(Anno 2014)

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